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I medici per l’ambiente rilanciano la propria proposta di non sottostare al ricatto occupazionale

 

In cima alla lista di priorità del Governo ci dovrebbero essere le vere necessità dell’area di Taranto e dei tarantini: l’affrancamento dal ricatto occupazionale e uno sviluppo sostenibile.La responsabilità della grave crisi sanitaria, economica e sociale di Taranto non è unicamente attribuibile ai privati che si sono succeduti nella gestione del siderurgico.

Come ripetutamente denunciato da ISDE in tutte le sedi Istituzionali, la costante trasgressione dell’articolo 41 della Costituzione, perpetrata per decenni, si è legata sino ad ora alla precisa scelta politica della prosecuzione dell’attività del siderurgico come unica strada percorribile. Questo ha permesso la tirannia dei privati, concentrata solo sulla produzione di acciaio, che ha completamente prevaricato il diritto alla salute e il diritto a vivere in un ambiente salubre. La popolazione di Taranto per questo è stata discriminata sotto il profilo sanitario e continua a pagare costi altissimi in termini di qualità di vita e di salute.

Considerato che la fascia maggiormente a rischio risulta essere quella infantile, continua ad essere costantemente ignorato anche l’art. 6 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia che definisce dovere prioritario garantire la sopravvivenza e lo sviluppo dei bambini.

Uno studio recente, pubblicato da autorevoli ricercatori su “Epidemiologia e Prevenzione”, la rivista dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, ha dimostrato ancora una volta, confermando precedenti evidenze, “un rischio inaccettabile” per i cittadini di Taranto, in particolare del quartiere Tamburi, nonostante uno scenario “caratterizzato da una produzione pari a poco più della metà rispetto a quella autorizzata dall’AIA”.

Si continua in maniera ingiustificabile ad ignorare esperienze internazionali come quella della Ruhr in Germania o della ex Bethlehem Steel a Sparrow Point (USA), che hanno dimostrato come il lavoro precedentemente speso in attività inquinanti e insalubri può essere non perso ma riconvertito con successo in lavoro per la bonifica e per la realizzazione di attività più sostenibili, con guadagni non solo per i privati ma per tutta la comunità,  che verrebbe finalmente liberata dall’ignobile ricatto occupazionale.

Nonostante il colpevole ritardo accumulato e i costi altissimi che questo ha comportato, inclusi i danni alla salute, si potrebbe ancora decidere di impiegare tempo e risorse non per perseverare in un vicolo cieco ma per guardare al futuro creando, come si è fatto altrove, uno sbocco dignitoso e duraturo per i lavoratori e un futuro sostenibile alla città di Taranto.