L’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana ha diffuso interessanti dati in merito alla contaminazione PFAS da sostanze perfluorurate (PFAS).
La ricerca condotta da ARPAT su animali per lo più spiaggiati, monitorati dall’Agenzia per conto dell’Osservatorio Toscano Cetacei, come il delfino (Stenella coeruleoalba), la tartaruga marina comune (Caretta caretta) ed alcuni esemplari giovanili di squalo grigio, verdesca e squalo volpe, ha evidenziato concentrazioni anche molto alte di questi inquinanti organici persistenti ed un sistema immunitario talvolta indebolito, condizioni che potrebbero rappresentare una concausa, in sinergica con altri fattori, nel decesso dell’animale.
La ricerca di inquinanti persistenti in questi animali è stata avviata in collaborazione con l’Università di Siena; si tratta di un’attività che affianca quelle già previste nei piani di monitoraggio marino
- su altri tipi di organismi, come le cozze, le telline, i muggini, i naselli ed il gambero rosa
- sull’acqua di mare e sui sedimenti.
L’individuazione di contaminanti negli animali marini, e nelle loro prede, è un campo di indagine ancora poco esplorato. I campioni di tessuto, prelevati dagli esemplari spiaggiati (26 stenelle, 2 tartarughe e 9 squali), sono stati analizzati mediante cromatografica liquida ad altissime prestazioni (HPLC) accoppiata a spettrometria di massa ad alta risoluzione (HRMS).
I dati ottenuti mostrano una presenza di sostanze perfluorurate a livelli compatibili con quelli presentati da studi pregressi, con alcune interessanti evidenze:
- nei tessuti di squali e di tartarughe le concentrazioni sono generalmente molto inferiori rispetto a quelle dei delfini;
- nei delfini (stenella striata) sono state rilevate maggiori contaminazione nel fegato rispetto al cervello ed al sangue, mentre, nel muscolo si hanno quelle più basse; nel loro tessuto cerebrale, inoltre, sono preponderanti i PFAS carbossilati a catena lunga a testimoniare una sorta di permeabilità della barriera emato-encefalica nei riguardi di questo tipo di sostanze;
- le concentrazioni di PFAS sono maggiori negli animali (stenelle) più giovani (appena svezzati o ancora allattati), come accade per altri mammiferi con altre tipologie di contaminanti persistenti, mentre non sono emerse differenze significative di genere (maschi/femmine).
A queste analisi è stata unita la ricerca dei contaminanti nei contenuti dello stomaco degli animali spiaggiati o catturati in modo accidentale, esaminando anche le loro principali prede (acciughe, sardine, gamberi, granchi, chiocciole di mare, seppioline ecc.) per ricostruire il percorso seguito all’interno della catena alimentare.
Questa prima indagine sui contenuti gastrici (11 campioni) ha evidenziato una minore concentrazione di PFAS nei pesci (acciuga, argentina e nasello) rispetto a crostacei e cefalopodi.
Inoltre, è plausibile che la seppia, predata soprattutto dai delfini, che hanno evidenziato la prevalente presenza di PFOS e di acidi perfluorocarbossilici a catena lunga, possa costituire una significativa fonte di assunzione di sostanze perfluorurate.
D’altra parte era stato proprio il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA), di cui ARPAT fa parte, nel 2018 ad effettuare una prima rilevazione nazionale della presenza dei PFAS nelle acque superficiali e sotterranee. (vedi dettaglio dati qui sotto)