Skip to main content

Riportiamo questo articolo di Genova Today sui fumi nel porto delal città Ligure, che prende spunto dall’iniziativa di ISDE Genova sul tema.


Accade che, qualche volta, Genova si tinge di nero. I balconi delle case si coprono di polvere, l’aria che entra dalle finestre si fa pesante. E la colpa va (quasi) tutta al cuore pulsante di questa città, il suo porto. Il problema principale risiede nel fatto che le polveri sottili e il biossido di azoto provocati dalle navi, in eccesso rispetto alle linee guida dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), provoca ogni anno, solo a Genova, quasi un migliaio di morti. Allarmante è il fatto che nei quartieri più vicini al porto, come San Teodoro, Sampierdarena e Cornigliano si muore di più rispetto a quelli del Levante cittadino, come Albaro, Nervi o Bogliasco. E a dirlo sono i numeri, raccolti in un report dell’Associazione medici per l’ambiente, per cui la Rete delle associazioni di San Teodoro si è allarmata e mobilitata.

”Su beni fondamentali come la salute non esiste che a Genova, una striscia di terra stretta e lunga, ci siano divari del genere. Il problema dell’inquinamento è chiaro e con la salute non si scherza. Vogliamo interventi immediati. Chiediamo al Comune di Genova di anticipare normative che si dovranno comunque mettere in pratica l’anno prossimo e di ripristinare un presidio sanitario di quartiere che c’è già. Si tratta di provvedimenti inevitabili e, nel secondo caso, a costo zero”, spiega Eliana Pastorino dell’associazione ”La piuma”, che è parte della Rete.

Dopo aver raccolto 2.700 firme e aver coinvolto i sindacati di chi lavora in porto, la Rete delle associazioni di San Teodoro si sta rivolgendo da mesi alla Regione Liguria, al Comune di Genova, all’Autorità del sistema portuale Mar Ligure Occidentale, all’Agenzia regionale per l’ambiente Liguria e alla Capitaneria di porto di Genova. Tre le principali richieste messe in campo: l’adozione anticipata della normativa europea Marpol, la realizzazione di un’indagine epidemiologica sul territorio e la riconvocazione dell’Osservatorio ambiente e salute, che analizzi la correlazione tra dati ambientali e stato di salute dei cittadini.

La mozione però, dopo essere stata presentata dalla Rete e dai partiti di opposizione, è stata bocciata. Ed Eliana ne lamenta le motivazioni: ”Ci hanno detto che c’è un accordo volontario. Ma è dal 2019 che esiste e non è mai cambiato nulla. L’anticipazione di queste norme avrebbe evitato alle persone più fragili di respirare anche quest’estate biossido di azoto e polveri sottili. Che fanno male. Da quando per tutelare la salute dei cittadini devi chiedere un’azione spontanea da parte dei privati?”. 

Ciò che regola al momento l’utilizzo di combustibile in porto è un accordo volontario, il Genoa Blue Agreement, firmato da compagnie, armatori e istituzioni cittadine. Prevede che, nelle manovre in porto e all’ormeggio, l’utilizzo di combustibile con tenore di zolfo non sia superiore allo 0,1 per cento. Sebbene sia stato siglato da 44 compagnie, l’accordo si è però dimostrato inefficace alla risoluzione del problema. In assenza di controlli, come ispezioni ‘a camino’ o tramite utilizzo di droni, e soprattutto di sanzioni dissuasive, nessuno sa cosa accade realmente in porto. E così l’inquinamento dell’aria continua a peggiorare, causando allergie, difficoltà respiratorie e, nel peggiore dei casi, decessi, soprattutto nei quartieri più vicini alle navi. 

”Mentre in tutto il resto del Paese qualunque organo di polizia è deputato a intervenire sui reati ambientali, all’interno del porto può soltanto la Capitaneria – ha spiegato Eraldo Minetti del circolo Pd di San Teodoro, parte della Rete -. Vorremmo assicurarci che, in un futuro breve, i controlli ci siano veramente, visto che la continua espansione dell’attività turistica nella città porterà a un traffico sempre maggiore”.i

Quello che i cittadini, insieme ai partiti di opposizione, hanno chiesto in consiglio regionale è l’anticipo dell’attuazione della Marpol. Dal primo maggio 2025 la convenzione renderà obbligatori un numero minimo di controlli e le seguenti disposizioni: da tre miglia dalla costa la nave dovrà mettere lo zolfo a 0,1%, entrare in porto con l’impatto meno inquinante e, solo dopo aver sostato in banchina ed essere uscita, ripristinare lo zolfo a 0,5%. Il limite nei porti comunitari dovrà essere pari a 0,1%, mentre in navigazione le navi di linea, da crociera e traghetti, potranno utilizzare combustibili con contenuto di zolfo massimo dell’1,5% elevato al 3,5% per le navi portacontainer. 

”In gran parte dei porti del Nord Europa queste norme sono già attuate, a noi sembrava una richiesta semplice – ha detto Eraldo Minetti -. I motivi delle resistenze qui a Genova sono prettamente economici: il carburante a basso tenore di zolfo, essendo più lavorato, è più caro. In più, un diverso carburante implica un adeguamento dei motori delle imbarcazioni. Non possiamo non notare come molte di queste imbarcazioni siano vecchie, con sistemi di abbattimento dei fumi obsoleti”. Minetti ha sottolineato poi come l’anno scorso, su 6 mila attracchi, siano stati effettuati meno di 30 controlli. Marpol potrebbe risolvere questo problema, stabilendo un numero minimo di controlli e l’obbligo di renderne pubblici i risultati. 

Negli ultimi anni ci si sta muovendo verso la limitazione del traffico dei veicoli più inquinanti, dimenticandosi però dei danni causati dal traffico navale. Come spiega Enzo Tortello, presidente del Comitato tutela ambientale Genova Centro Ovest, Genova da anni infrange le norme europee per il superamento di biossido di azoto. Inoltre in Liguria, secondo l’inventario regionale delle emissioni, il traffico navale è la prima fonte di emissioni di questo tipo di gas. Per analizzare la qualità dell’aria nel porto e studiare come intervenire a riguardo, sono stati avviati progetti come Aer nostrum e Sentinelle dell’aria, di cui la Superba è stata protagonista. Nel 2015 è stato condotto uno studio anche dal dipartimento di Fisica dell’Università, il progetto Caimans, prosecuzione del progetto Med-Apice finanziato dall’Ue, che si è concentrato sulle navi passeggeri. A capo del progetto è stato il genovese Paolo Prati, che come soluzione già ai tempi suggeriva il passaggio a navi alimentate a gas naturale liquefatto, metodo più efficace rispetto all’elettrificazione delle banchine. A mancare dunque negli ultimi anni non sono stati gli studi o i dati sul tema, ma i provvedimenti.

Secondo la Marpol, il controllo del contenuto di zolfo dovrebbe essere frutto di analisi di campioni di combustibile prelevati dalle imbarcazioni, ed è quindi una misura diretta. La valutazione dell’efficienza dei motori è invece solitamente deputata a un controllo documentale. Questa possibilità, prevista dalle norme e di fatto l’unica praticata, non dà le stesse garanzie di una misura diretta. 

L’assessore al Porto, Francesco Maresca, ha spiegato: ”In questi anni, siamo riusciti ad aumentare le risorse destinate ad Arpal per quanto riguarda la misurazione delle emissioni legate alle attività portuali. Una volta al mese il Comune di Genova riunisce un tavolo sui fumi emessi dalle navi, a cui partecipano Arpal, Capitaneria di Porto, Autorità di sistema portuale e le compagnie di navigazione”. Ma le poche misure ‘a camino’ effettuate recentemente da Arpal, su incarico della Capitaneria di porto, hanno mostrato che gli stessi apparati, in regola secondo il controllo documentale, non lo sono in caso di misure dirette. L’unico controllo fattivo in mano alle Capitanerie è dunque quello del tenore di zolfo nel combustibile. 

Un aspetto particolarmente critico è costituito, inoltre, dal fatto che le curve limite di emissione degli ossidi di azoto non si applicano alle imbarcazioni costruite prima dell’anno 2000. Il rischio è quindi che le imbarcazioni più obsolete fruiscono di una sorta di ”immunità ambientale”. Il Comitato di tutela ambientale di Genova ‘No fumo si navi’ evidenzia: ”Non stupisce che continuino ad attraccare nel porto traghetti costruiti negli anni ’70 ed estremamente impattanti per quanto riguarda emissioni gassose e sonore”.

”Noi abbiamo a cuore il bene, la salute e la vita della comunità cittadina, dai lavoratori agli abitanti dei quartieri più esposti – dicono a una voce i membri della Rete – e non possiamo accettare che a esso vengano anteposti gli interessi di potenti soggetti imprenditoriali, che le istituzioni non sono in grado di richiamare alle proprie responsabilità”. 

I cittadini chiedono di essere resi partecipi della situazione, di ripristinare un presidio sociosanitario a San Teodoro e di riportare in vita l’Osservatorio ambiente e salute. Quest’ultimo – deliberato nel 2016 dall’allora sindaco Doria e composto da Asl, Arpal, Ist, Università di Genova e Medici per l’ambiente – avrebbe il compito di incrociare e integrare i dati ambientali con quelli relativi allo stato di salute dei cittadini genovesi, per poi attivarsi con la Capitaneria di Porto in vista ddi provvedimenti. Dal 2018 però non è più stato interpellato. Eliana Pastorino domanda: “È uno strumento che c’è. Perché questa giunta non lo vuole convocare? Di cosa ha paura?”.