I dati Usa indicano che dal 2008 al 2018 le ore trascorse sui media digitali sono passate da 2,7 a 6,3 ore (+133%) e nello stesso intervallo di tempo la percentuale dei decessi per tumori cerebrali e al sistema nervoso centrale è cresciuta del 12%: sono i dati che il fisico Fausto Bersani ha presentato di recente al congresso di Isde, l’Associazione Medici per l’Ambiente, del cui comitato scientifico fa parte.
I dati Usa indicano che dal 2008 al 2018 le ore trascorse sui media digitali sono passate da 2,7 a 6,3 ore (+133%) e nello stesso intervallo di tempo la percentuale dei decessi per tumori cerebrali e al sistema nervoso centrale è cresciuta del 12%: sono i dati che il fisico Fausto Bersani ha presentato di recente al congresso di Isde, l’Associazione Medici per l’Ambiente, del cui comitato scientifico fa parte.
Lo abbiamo intervistato.
Quando, come e su chi è stato condotto lo studio che hai presentato al convegno?
«Lo studio è basato sull’analisi temporale della percentuale, riferita alla popolazione degli Usa, dei decessi per cancro al cervello e al Sistema Nervoso Centrale (SNC) in funzione delle ore giornaliere trascorse sui media digitali. Ho preso come paese di riferimento gli Usa per due motivi: innanzi tutto si tratta di una nazione a elevatissima penetrazione tecnologica che fa largo uso di device digitali. Inoltre è abbastanza facile accedere a una consistente massa di dati open source per un’elaborazione statistica. Ho utilizzato la banca dati https://ourworldindata.org. Quindi la scelta adottata costituisce una buona base di partenza per prevedere futuri scenari sanitari anche in altri contesti caratterizzati da una maggiore inerzia tecnologica. Inoltre, aver optato per uno studio sulla mortalità significa rifarsi al più solido indicatore epidemiologico: l’esame della mortalità per causa in funzione del tempo rappresenta un punto fermo fondamentale a livello di prevenzione, come ha riconosciuto anche l’ISS sul proprio portale EpiCentro. La scelta dei tumori cerebrali/SNC ha un’origine un po’ più articolata: nel 2011 la IARC, sulla base di un incremento di rischio di glioma segnalato nel caso dei grandi utilizzatori di cellulari, classificò i campi elettromagnetici a radiofrequenza (RF-EMF) come “possibili agenti cancerogeni” considerando “limitate” le evidenze epidemiologiche sull’uomo e “non sufficienti” quelle sugli animali. Per passare al livello più alto di “probabili cancerogeni” servivano studi su animali da laboratorio. Finalmente nel 2018, dal National Toxicology Program negli USA e dall’Istituto Ramazzini, sono arrivati gli studi richiesti, che hanno fatto registrare un aumento, statisticamente significativo, di gliomi maligni al cervello e di tumori del cuore specificatamente delle cellule nervose di Schwann. Inoltre il rischio cancerogeno si è dimostrato dose-dipendente. Successive revisioni aggiornate della letteratura esistente condotte da ricercatori come Fiorella Belpoggi e Henry Lay, hanno confermato che le RF-EMF dovrebbero essere classificate “probabili cancerogene” per l’uomo».
Quali i risultati che sono emersi?
«I dati, innanzi tutto, ci riferiscono che dal 2008 al 2018 l’incremento del tempo passato sui media digitali è passato da 2,7 a 6,3 ore con una crescita del 133%, incremento prevalentemente dovuto all’utilizzo degli smartphone. In altri termini, lo statunitense medio trascorreva nel 2018 circa il 40% del tempo da sveglio in modalità online. A fronte dei dati raccolti si dimostra che negli Usa la percentuale, riferita alla popolazione, dei decessi per tumori cerebrali/SNC cresce in modo lineare in funzione delle ore trascorse sui media digitali con un incremento, nel 2018, del 12% rispetto al dato del 2008. La correlazione risulta altamente significativa, la probabilità di errore è inferiore allo 0,05%. Ovviamente sono consapevole del fatto che questo è un dato “grezzo” e che uno studio di mortalità per causa, applicato sull’uomo, è un approccio che potrebbe essere condizionato da numerosi fattori confondenti. Proprio per questo motivo vengono richieste evidenze anche su animali in quanto i modelli di vita in laboratorio sono molto più omogenei e facilmente controllabili rispetto a quanto succede negli stili di vita dell’uomo dove possono intervenire errori sistematici. Ad esempio, se consideriamo i decessi per cancro al cervello/SNC, sicuramente una percentuale è imputabile anche a fattori indipendenti da esposizioni alle RF-EMF. Tuttavia osservando che negli anni ’80 il cellulare 1G faceva la sua prima comparsa sperimentale, possiamo considerare proprio il 1980 come l’anno “zero” di riferimento per i device digitali. Il dato “raffinato”, tenendo in considerazione la percentuale dei decessi nell’anno “zero”, ci fornisce un’idea più corretta della correlazione che stiamo indagando. I risultati ottenuti con questo aggiustamento risultano ancora più netti: nel 2018 la percentuale di decessi per cancro al cervello/SNC in funzione delle ore passate sui media digitali è cresciuta negli Usa dell’85% rispetto al 2008. La correlazione, anche in questo caso, risulta altamente significativa. Chiaramente questo è uno studio iniziale che andrà in seguito integrato. Infatti, al momento, i dati relativi alla permanenza giornaliera sui media digitali, al momento, arrivano solo al 2018».
Le evidenze scientifiche supportano secondo lei la necessità di una precauzione massima nella diffusione delle radiofrequenze e quindi della necessità di mantenere basse le soglie massime di esposizione?
«Le evidenze ci sono, sono aumentate negli anni – sono stati pubblicati oltre 10.000 articoli – e sono solide; tuttavia le linee istituzionali, il più delle volte, seguono percorsi lontani dal principio di precauzione. All’inizio di quest’anno, ad esempio, un gruppo consultivo della IARC aveva nuovamente raccomandato che l’Agenzia rivalutasse la classificazione delle RF come priorità. Non si comprende quindi perché l’OMS abbia costituito un gruppo parallelo di lavoro su RF-EMF invece di accelerare il processo di valutazione della IARC, ossia dell’Agenzia che è stata preposta proprio dalla stessa OMS a condurre la valutazione dei diversi agenti inquinanti diffusi negli ambienti di vita e di lavoro. Una scelta imbarazzante sul piano metodologico, ma anche sul piano economico: il finanziamento per lo studio commissionato dall’OMS è stato fornito da WHO, ARPANSA (Agenzia australiana per la protezione dalle radiazioni e la sicurezza nucleare), Ministero della Salute della Nuova Zelanda e, guarda caso, anche dall’Istituto Superiore di Sanità italiano. Nel documento finale vengono menzionati 63 studi epidemiologici sull’uomo ignorando importanti studi sperimentali su modelli animali. Una paradossale retrocessione alla situazione del 2011. Escludere i risultati degli studi sperimentali e di quelli condotti su animali crea un quadro parziale delle evidenze disponibili, evitando un approccio prudente alla regolazione delle esposizioni. Inoltre, la chiave di lettura estremamente tranquillizzante di questo studio fornita dai media, peraltro in palese contrasto con i risultati dello studio stesso che, letto attentamente, si mostra costellato di incertezze, potrebbe indurre sia un utilizzo “disinvolto” della tecnologia wireless da parte della popolazione, sia una legittimazione per i gestori a opporsi a qualsiasi provvedimento improntato al principio di precauzione. Ovviamente questo potrebbe avere importanti ripercussioni negative in termini di sanità pubblica, anche qualora dovesse definitivamente emergere che il rischio cancerogeno legato alle RF è un rischio basso, proprio in virtù dell’elevatissimo numero di esposti. Infine, secondo gli autori dello studio, emergerebbe che, nonostante l’uso della tecnologia wireless sia aumentato notevolmente negli ultimi 20 anni, non si è registrato alcun aumento nell’incidenza dei tumori al cervello. Anche questa affermazione, purtroppo, è parziale e fuorviante. Da una lettura dei dati su scala mondiale dal database di cui mi sono servito, si evince un aumento statisticamente significativo della percentuale, riferita alla popolazione, dei decessi per tumori al cervello/SNC. A livello mondiale l’aumento relativo della percentuale nel 2019 rispetto al 1990 è stato del 20%. Ripetendo l’analisi limitatamente agli USA, considerando il segmento temporale dal 1980 al 2021 – ossia l’arco temporale che copre l’intera successione della tecnologia cellulare dall’1G al 5G – lo scarto relativo della percentuale, rispetto all’inizio del periodo, cresce fino al 35%. In entrambi i casi i risultati, sotto il profilo statistico, sono altamente significativi (probabilità di errore inferiore allo 0,05%)».
Visto che si va nella direzione di “liberalizzare” l’installazione di microantenne e di un aumento dei valori limite, quali sono i passi possibili che organizzazioni e cittadini posso fare per chiedere che si faccia un passo indietro?
«Purtroppo ci troviamo di fronte a politiche nazionali e internazionali irresponsabili che si piegano alle esigenze commerciali di una tecnologia che già da tempo viene riconosciuta come pericolosa. Gli orientamenti legislativi seguono le indicazioni di personaggi e organismi il più delle volte condizionati da conflitti di interesse che prendono in considerazione solo gli effetti termici a breve termine delle RF, ossia quegli effetti che sono in grado di provocare un innalzamento termico dei tessuti. I limiti suggeriti non sono applicabili all’esposizione a lungo termine. Si avverte una chiara mancanza di apprezzamento degli effetti cronici e con questo non intendo solo degli effetti cancerogeni al sistema nervoso centrale e periferico, ma anche dei disturbi neurocomportamentali e di quelli legati alla riproduzione e allo sviluppo, per non parlare del fenomeno dell’elettrosensibilità, sempre più diffuso e colpevolmente trascurato. Serve una conoscenza diffusa, scientificamente corretta e indipendente in grado di esercitare una pressione consapevole sul mondo della politica, affinché l’agenda di chiunque vada al governo della nazione preveda la considerazione prioritaria di questi temi e perché, anche a livello locale, gli amministratori si adoperino per difendere ed usare tutti gli strumenti regolamentari e di controllo che possono ancora esercitare».
Fonte: terranuova.it