Le esperienze internazionali ci insegnano che non si sceglie mai un’isola per un deposito di scorie nucleari
Nel luglio 2017 era stata annunciata dalla Gazzetta Ufficiale una consultazione pubblica e ISDE Sardegna aveva inviato al Ministero dell’Ambiente le sue Osservazioni, pur chiedendosi che senso avesse la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) relativa al Programma Nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi in assenza di riferimenti geografici precisi da cui non si poteva evidentemente prescindere per l’individuazione dell’impatto ambientale e dei potenziali rischi.
La recente pubblicazione della Carta Nazionale delle Aree potenzialmente idonee (CNAPI) sul deposito dei rifiuti radioattivi in Italia – elaborata dalla Sogin e approvata dai Ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente (14 siti in Sardegna sui 67 individuati complessivamente) – necessita di alcune immediate considerazioni.
La prima è che in nessun Paese al mondo esistono o sono in fase di realizzazione depositi definitivi di materiale radioattivo ubicati in isole. Il trasporto in un’isola richiede, rispetto a quello in un sito della penisola, un trasporto aggiuntivo in nave con necessità di scarico e di carico nel porto di partenza e in quello di arrivo di manufatti di svariate tonnellate con aumento del rischio di incidenti durante tali fasi. Il trasporto in nave aumenta il rischio di incidenti o di atti terroristici che potrebbero portare alla disseminazione di materiale radioattivo, non sempre facilmente recuperabile, lungo le coste o in ambiente marino con possibile nocumento per l’uomo e gli ecosistemi.
La seconda considerazione nasce dal fatto che i rifiuti debbano essere smaltiti da parte di chi li produce. Orbene la Sardegna non ha, di fatto, produzione di materiale radioattivo e il suo consumo, veda per esempio la medicina nucleare, è minimale nel panorama nazionale.
La terza considerazione ci ricorda che il materiale radioattivo non è scevro di rischi potenziali per la salute umana e per l’ambiente anche in uno scenario di perfetta programmazione, realizzazione e gestione del trasporto e del sito di deposito. Seri dubbi a tal riguardo pone la passata e attuale esperienza della gestione nazionale dei rifiuti radioattivi quale quella del sito di Saluggia. Sarebbe l’ennesimo fattore negativo a carico dell’ambiente e della salute dei Sardi che già ospitano la maggior superficie, fra le regioni italiane, di siti inquinati di interesse nazionale (SIN) e la maggior superficie di aree militarizzate quale quella di Quirra, ad esempio.
La Sardegna oggi si trova in una condizione di estrema vulnerabilità socio-economica, ambientale e sanitaria e paga da decenni scelte programmatiche e progettuali sbagliate. I Sardi continuano a subire una politica industriale che vede il proprio territorio trasformato, sempre più in piattaforma energetica per progetti di sviluppo esterni all’isola o come centro di stoccaggio e smaltimento di rifiuti prodotti altrove.
Per queste ragioni l’Associazione Medici per l’Ambiente della Sardegna ritiene inaccettabile l’ipotesi che la Sardegna, area potenzialmente idonea ad accogliere le scorie, sia sottoposta all’ennesimo sacrificio, laddove esistono per il deposito nazionale delle ubicazioni decisamente più idonee come la stessa carta CNAPI riporta.
Mentre si avvia adesso la discussione, in cui sarà fondamentale il parere dei Sindaci e dei Consigli Comunali insulari, che porterà fra qualche anno alla scelta del Sito Unico è opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che tutti siamo chiamati alla promozione di una politica di prevenzione ambientale capace di riequilibrare l’ attuale asimmetria tra esposti e produttori di rischio in base al principio di precauzione e a quello di responsabilità; ciò significa informare, impedire l’occultamento di informazioni o l’uso inappropriato o parziale di evidenze su possibili rischi e su tutto ciò che appare fuorviante rispetto a interventi di controlli e individuazione delle realtà a elevato impatto ambientale e sanitario.