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Il Fatto quotidiano ha intervistato Ferdinando Laghi, medico e vicepresidente nazionale ISDE (Associazione Medici per l’Ambiente).

Spunto dell’intervista un articolo pubblicato su Am J Prev Cardiol, nel quale si osserva che gli eventi meteorologici estremi sono anche associati a traumi, stress e depressione che sono fattori di rischio per la cardiopatia ischemica. Inoltre, le diete povere di prodotti freschi, cereali integrali e frutti di mare – messi a rischio dalla desertificazione e dal calo della resa agricola – sono responsabili di oltre 3 milioni di morti cardiovascolari all’anno in tutto il mondo. Anche le migrazioni forzate spingono centinaia di milioni di persone in luoghi mal preparati a fornire servizi di salute cardiovascolare per i rifugiati climatici.

Un aumento della mortalità per arresti cardiaci extraospedalieri e ospedalizzazione per cardiopatia ischemica; eventi meteorologici estremi come uragani, siccità e tempeste di polvere sono stati associati a un aumento del rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare che, nel caso degli uragani, persisteva mesi dopo l’evento; l’esposizione all’ozono è stata associata a esiti peggiori dopo l’infarto del miocardio, incluso un aumento del rischio di eventi ischemici ricorrenti.

Dice Laghi “rispetto al cuore, il crollo delle temperature si accompagna alla vasocostrizione: se uno ha una cardiopatia ischemica o un sistema circolatorio già ristretto per via delle placche ateromasiche ecco che il riflesso di vasocostrizione, collegato al calo improvviso delle temperature può determinare problemi ischemici, dunque una irrorazione insufficiente in tutti gli organi e apparati”. Se il freddo improvviso può fare male, a maggiore ragione il caldo estremo.

“Il caldo è ancora peggio”, continua il vicepresidente ISDE, “perché determina una vasodilatazione e un’aumentata traspirazione o sudorazione. I vasi si dilatano e sono meno portanti, perché c’è meno liquido, in più quel liquido viene ulteriormente ridotto dalla sudorazione e dalla traspirazione, per cui il volume circolatorio diminuisce, rallenta e quindi crea le condizioni di aumentata densità e di diminuzione di velocità, che insieme favoriscono la formazione di trombi, cioè l’aggregazione di piastrine. Oggi dovremmo ritarare le terapie a seconda dell’andamento climatico, penso ad esempio a quella degli ipertesi”.

“Già numerosi anni fa alcuni studi nel nostro Paese avevano calcolato che il numero degli infarti, nelle giornate di smog ricche di dell’ozono, gas tossico che si forma spesso quando c’è caldo torrido, e di particolato fine ed ultrafine, aumentava addirittura del 5%. Il particolato ha un effetto protrombotico, specie quello ultrafine, che non viene intercettato neanche dai filtri industriali e arriva agli alveoli per poi passare ai vasi, dove appunto svolge una funzione prototrombotica”.