Sul numero del 23 marzo del supplemento Extraterrestre del quotidiano “Il manifesto” è uscito questo articolo a cura di Francesco Romizi (giornalista ambientale e responsabile comunicazione ISDE Italia) e Marco Talluri (giornalista e direttore ambientenonsolo.com).
Più di 17.000 siti in tutta Europa sono contaminati dai PFAS, secondo i risultati di un’indagine esclusiva, durata vari mesi, condotta da 18 redazioni giornalistiche europee, fra cui Le Monde e il Guardian.
Ricordiamo che le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono composti chimici utilizzati in campo industriale per la loro capacità di rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi. I PFAS vengono impiegati dagli anni ’50 per la produzione di numerosi prodotti commerciali: impermeabilizzanti per tessuti, tappeti, pelli, insetticidi, schiume antincendio, vernici, rivestimento dei contenitori per il cibo, cera per pavimenti e detersivi. L’utilizzo più noto di questi composti è probabilmente per il rivestimento antiaderente delle pentole da cucina e nella produzione dei tessuti tecnici. Oggi queste sostanze sono conosciute per la contaminazione ambientale che hanno prodotto negli anni proprio a causa della loro stabilità termica e chimica, che le rendono resistenti ai processi di degradazione esistenti in natura. Oltre alla tendenza ad accumularsi nell’ambiente, i PFAS persistono anche negli organismi viventi, compreso l’uomo, dove risultano essere tossici ad alte concentrazioni.
Nell’essere umano, i PFAS agiscono come interferenti endocrini, grazie alla loro spiccata propensione a legarsi all’albumina, una fondamentale proteina del plasma sanguigno. «L’albumina è una proteina di trasporto. Quando il corpo produce ormoni, questi devono viaggiare, per esempio, dall’ipofisi al fegato, al pancreas o alle ghiandole surrenali», spiega Jamie DeWitt, professoressa di farmacologia e tossicologia alla Brody School of Medicine della East Carolina University, negli Stati Uniti. «Gli ormoni si legano all’albumina per essere trasportati fino al punto in cui devono arrivare. Quando una sostanza come le PFAS si lega all’albumina, occupa il posto che sarebbe stato riservato a un ormone. Questo è uno dei motivi per cui le PFAS sono identificati come composti chimici che alterano il sistema endocrino. Le PFAS confondono e alterano il sistema con tutte le conseguenze che sospettiamo esserci».
L’esposizione a PFAS può comportare alcune gravi conseguenze per la salute, come cancro e infertilità. Secondo uno studio promosso dai governi del Nord-Europa, queste sostanze gravano ogni anno sui sistemi sanitari europei per un importo compreso tra 52 e 84 miliardi di euro.
L’indagine giornalistica, chiamata “The Forever Pollution Project” rivela ulteriori 21 000 siti di presunta contaminazione a causa di attività industriali attuali o passate, che vanno ad aggiungersi ai 17.000 siti contaminati con certezza. Il progetto di indagine ci informa che c’è molta più contaminazione in tutta Europa di quanto si sappia pubblicamente. I giornalisti hanno raccolto 100 set di dati e archiviato decine di richieste di accesso alle documentazioni delle pubbliche amministrazioni, per costruire una mappa sulla contaminazione da PFAS in Europa. Il progetto dimostra che nel nostro continente esistono 20 impianti di produzione, e più di 2.100 siti che possono essere considerati hotspot PFAS – luoghi in cui la contaminazione raggiunge livelli considerati pericolosi per la salute delle persone esposte.
Le emissioni di PFAS non sono ancora regolamentate nell’Unione Europea e solo pochi Stati membri hanno adottato limiti. Tutti gli esperti di PFAS che sono stati intervistati nell’indagine erano convinti che le soglie stabilite dall’UE sono troppo alte per proteggere la salute umana. La ricerca ha anche scoperto un ampio processo di lobbying per annacquare il divieto delle PFAS proposto a livello europeo da numerosi enti pubblici e della società civile. E’ stato scoperto che per mesi, più di cento associazioni di settore, gruppi di interesse, studi legali e grandi aziende hanno lavorato per influenzare la Commissione europea e gli Stati membri per indebolire il possibile divieto della sostanza chimica. Nel corso di diversi mesi di indagini, il “Forever Pollution Project” ha sezionato oltre 1200 documenti riservati della Commissione europea e dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) nonché centinaia di fonti aperte. Analizzando questi documenti, i giornalisti che partecipano all’indagine hanno rilevato come diverse aziende, da Chemours a 3M o Solvay, stanno cercando di esentare i loro prodotti dal divieto.
Nel frattempo infatti, 119 organizzazioni ambientali e sanitarie di 25 Paesi europei, hanno presentato a Bruxelles il manifesto “Vietate le PFAS”; il manifesto chiede il divieto delle sostanze alchiliche per-epolifluorurate (PFAS) nei prodotti di consumo entro il 2025 e un divieto completo entro il 2030.Chiedono un’azione rapida da parte della Commissione europea per affrontare l’emergenza, soprattutto alla luce dei risultati dell’indagine “Forever Pollution Project”.
Secondo le organizzazioni promotrici del manifesto, l’entità della contaminazione illustra le attuali debolezze della legislazione REACH (il regolamento dell’Unione europea, adottato per migliorare la protezione della salute umana e dell’ambiente dai rischi che possono derivare dalle sostanze chimiche) e l’urgente necessità di riformarla, e sostengono la proposta di restrizione universale PFAS presentata da Danimarca, Germania, Norvegia, Svezia e Paesi Bassi Infine, invitano anche le autorità europee e nazionali ad affrontare l’inquinamento esistente e garantire che l’onere dei costi per le bonifiche sia sostenuto da chi inquina e non dai contribuenti.
“Un’eliminazione graduale completa di tutta la produzione e l’uso dei PFAS è possibile entro il 2030, attraverso la restrizione dell’intero gruppo PFAS ai sensi del REACH e la rapida adozione di altre restrizioni attualmente in cantiere. Le PFAS rappresentano un rischio inaccettabile sia per le generazioni attuali che per quelle future a causa della loro estrema persistenza e delle crescenti prove scientifiche dei loro impatti dannosi sulla fauna selvatica e sulla salute umana” ha dichiarato Natasha Cingotti, referente del consorzio europeo Health and Environment Alliance che raggruppa i principali enti europei che si occupano di ambiente e salute.